Archivio per settembre, 2011

XXXII^ edizione BENEVENTO CittàSpettacolo
Venerdì 9 settembre
Benevento – Teatro Romano – ore 21:30
PRIMA NAZIONALE

Marechiaro, waiting for the moon
“canzune & songs all’Osteria di Marechiaro” da Francesco Cerlone

di Mariano Bauduin
musiche originali ed elaborazioni musicali su materiali di Cole Porter M° Roberto De Simone
regia Mariano Bauduin
scena Nicola Rubertelli
costumi Marianna Carbone

con

Antonella Morea LESBINA Galanti, gentildonna palermitana, celebre cantante americana, amante non già del Capitano ma della sua fortuna

Lalla Esposito DORINA, marchesina romana promessa sposa del Capitano ed amante di Federico

Raffaello Converso CAPITANO, già conte di Zampano napolitano, comandante di marina, promesso sposo di Dorina, amante di Lesbina, corteggiatore di Chiarella

Adriano Mottola FEDERICO Onesti, fintosi marinaio del Capitano, nobile pisano ed amante di Dorina

Giovanni Mauriello ABATE Scarpinelli, impresario, protettore americano di Lesbina

Bianca Fenizia CHIARELLA, graziosa ragazza, amante del Conte

Franco Javarone CARL’ANDREA, oste di Marechiaro

Giulio Liguori MARCHESE Olivieri, padre di Dorina

Biagio Abenante SOLDATO americano, ferito a morte per un’esplosione

produzione Sirena Eventi

maestro concertatore Gerardo Buonocore
violino Luca Bagagli
violoncello Leonardo Massa
contrabbasso Ottavio Gaudiano
clarinetto Luca Cipriano
clarinetto basso Luciano Nini
pianoforte Antima Pepe
chitarra Eleonora Strino
mandolino Agostino Oliviero
arpa Anna Cefalo
fisarmonica Nicola Mellino

regia e drammaturgia Mariano Bauduin
direzione di produzione Sara Marrucci
direzione artistica Mariano Bauduin
segreteria di produzione Maria Gigante
assistente alla regia Gianandrea Ventrella
M° Collaboratore alle orchestrazioni Filippo D’Allio
M° Preparatore Antima Pepe
direttore tecnico Errico Quagliozzi
macchinista Agostino Esposito
attrezzista Antonio Laino
aiuto attrezzista Antonella Mauro
sarta Mariana Mazzitelli
autotrasporti Liberato Trasporti S.r.l.
attrezzeria E. Rancati S.r.l. – Roma
sartoria Costumi d’Arte Srl
parrucche e trucco Annamaria Sorrentino
calzature Pompei 2000 Srl
luci e fonica Perrella Ligthing and Sound Services

A Marechiaro ce sta ‘na fenestra… cantava il Di Giacomo; ma a Marechiaro non c’è solo una finestra; c’è, nel riflesso del mare, la fantasia degli innumerevoli visitatori, napoletani o stranieri che, fin dal 1500, si recavano in quel luogo, già rinomato per i ruderi di epoca classica, e per le osterie che offrivano una piacevole sosta dopo una passeggiata in barca che iniziava al Molo di Napoli (attuale Piazza Castello). Colà, difatti, erano in attesa i barcaioli da nolo, che conducevano i gitanti in gondola e in feluche, costeggiando l’incantevole spiaggia di Santa Lucia, di Chiaia, di Mergellina, fino a Posillipo e poi a Marechiaro, cui si accedeva soltanto in barca, né il luogo era raggiungibile in carrozza, o in portantina, per la carenza di strade su quella collina che a strapiombo si specchiava nel mare tra costoni e dirupi.
La commedia “L’Osteria di Marechiaro” di Francesco Cerlone tratta i casi del Conte di Zampano, donnaiolo incallito, perseguitato da Lesbina, sua ex amante, cui aveva dato parola di matrimonio. Ma egli, incapricciatosi di Chiarella, ricusa le nozze, rimangiandosi la promessa fatta. L’azione si complica quando appare il fantasma del marito morto di Lesbina, ed ella si scopre vedova. Inoltre, compaiono sulla costa di Marechiaro il Marchese e la figlia Dorina, altra promessa sposa dell’imprudente Conte, ma la giovane romana ama segretamente il cameriere del Conte, Federico. In quelle medesime grotte Petronio ambientò alcuni episodi del suo Satyricon, relativi a riti misterici; e ivi collocò la leggenda virgiliana, narrata durante la cena di Trimalcione, secondo la quale in quelle cave si conservava l’ampolla in cui era imprigionato lo spirito della Sibilla Cumana, e ai ragazzi che le chiedevano: “Sibilla, cosa vuoi?”, ella rispondeva: “Voglio morire”. La trasposizione nello spettacolo “Marechiaro waiting for the moon” che potrebbe essere considerata la libera traduzione del verso digiacomiano: Quanno sponta la luna a Marechiaro / pure li pisce nce fanno ll’ammore; ha raccolto tutti questi elementi presenti nell’opera in musica e li ha trasformati nella versione in prosa mediante una ricerca di valori formali e linguistici propri di un nuovo spettacolo, nuovo nella drammaturgia e nella costruzione poetica facendo di quegli stessi elementi un punto di partenza per lo sviluppo di nuovi e interessanti aspetti. Innanzitutto il tessuto musicale che gioca di rimandi e deformazioni come chi si specchia nello stesso mare di Marechiaro, e il mare diventa emblema di un’unione tra ciò che il mare dà ciò che il mare prende;
prende le liriche del digiacomo e ce le rimanda con le melodie del Porter così tanto impregnate di desiderio e di pulsante voglia di vivere come di amare; allora la nostra Osteria di Marechiaro potrebbe essere collocata fantasticamente sulla costa di Manhattan o a Central Park. Eppure dall’oltre oceano arrivano anche negatività e violenza: il contrabbando con la mafia americana, Lucky Luciano, le sigarette, l’alcool, ecc. Che il titolo stesso della nostra commedia alluda a una “loggia” di Marechiaro? O a riunioni segrete nei luoghi attigui ove si collocavano grotte e ville patrizie? Del resto, era anche nei costumi della camorra, quello di radunare i membri della onorata società, nelle grotte delle Fontanelle, oppure in un ristorante fuori mano. Nel corso di un banchetto imbandito in un rinomato ristorante di provincia, difatti, agli inizi del Novecento, i capintesta della Camorra celebrarono un processo e sentenziarono le condanne a morte dei coniugi Cuocolo.
Ovviamente, non ci limiteremo alla recitazione dei versi del libretto, i quali risulterebbero alquanto stucchevoli senza il supporto musicale del melodramma paisielliano, bensì abbiamo attivato una trascrizione e un riadattamento dell’intero libretto, per il quale sono stati adoperati elementi digiacomiani, per i personaggi che parlano nell’antico dialetto napoletano,
mentre per i personaggi dell’Abate e di Lesbina ci siamo riferiti al poeta siciliano Giovanni Meli travestendolo di uno slang americano come quello dei gangster statunitensi, per Dorina e il Marchese abbiamo adoperato i versi in
romanesco vernacolare di Gioacchino Belli.

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